Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
Le lavandaie del Manzoni
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 222, p. 3
Data: 18 settembre 1955


pag. 3




   Tra le fortune postume del Manzoni — che vengono, benchè un po' tardi, a compensarlo delle molte sfortune che gli toccarono in vita — la più bella mi par quella di aver trovato, ai giorni nostri, un segretario infaticabile, impareggiabile, impagabile, che di «don Lisander» conosce non soltanto vita, morte e miracoli ma le abitudini e le manie, i parenti e gli amici, tutte le persone che l'hanno incontrato anche una volta sola, le villeggiature e i viaggi, gli affari e i fastidi, i manoscritti e l'edizioni delle opere, i detti e i ricordi e forse ne sa più di quel che rammentasse, negli ultimi anni, il Manzoni medesimo. Questo segretario non è soltanto un segretario ma un diarista, un cronista, un annalista, un memorialista, un archivista, un collezionista, uno storico, un critico, un bibliografo, insomma un innamorato che della persona amata rintraccia ed ostende anche le minuzie più minute.
   Avete già indovinato il nome di questo ideal segretario che però, badiamo bene, non è addetto unicamente alla persona dell'autore dei Promessi Sposi. L'amico Marino Parenti ha dato ora alle stampe un suo discorso sulla risciacquatura in Arno del famoso romanzo (Sarzana, Carpena Editore) che contiene, oltre una narrazione chiara e precisa delle fasi del più celebre lavaggio della nostra letteratura, una silloge utilissima di testi che si riferiscono a quella felice operazione. Il Parenti, non contento, ha scovato un'altra collaboratrice del Manzoni, cioè la madre di Emilia Luti, Giovanna Feroci, e pubblica la prova, una lettera inedita a lei diretta. (v. L'Osservatore Politico Letterario - Roma - Luglio 1955, N. 4 pp. 61-63).
   Da queste pagine di Marino Parenti traggo occasione per alcune postille che mi paiono istruttive. Gli aiuti del Manzoni furono sette: quattro lavandai — Giambattista Niccolini, Gaetano Cioni, Giuseppe Borghi, Guglielmo Libri — e tre lavandaie — Emilia Luti, Giovanna Feroci, Marianna Rinuccini — una vera piccola squadra.
   Le tre donne erano di cultura assai modesta, compresa la marchesa Marianna Rinuccini nei Trivulzio. Il Cioni e il Libri erano studiosi di cose scientifiche più che puri letterati. Scrittori veri e propri erano solamente due: il Niccolini — autore di tragedie già famose e ora dimenticate — e il Borghi, traduttore di Pindaro e verseggiatore fortunato di inni sacri. Due soli uomini di lettere su sette collaboratori è una percentuale piuttosto bassa trattandosi di una faccenda letteraria ma ciò dimostra la scarsa fiducia che il Manzoni aveva nei cosiddetti competenti.
   La risciacquatura doveva consistere, secondo il Manzoni, nel riportare il linguaggio del romanzo all'uso vivo di Firenze ma è curioso osservare che su quei sette lavandai ce n'erano tre non fiorentini: la Feroci era pisana, il Niccolini era nato ai Bagni di San Giuliano, in provincia di Pisa, il Borghi era nativo di Bibbiena, in provincia di Arezzo.
   Ho la sensazione che il Manzoni fu aiutato, nelle sue fatiche di lavatore, dalla umile Emilia Luti meglio che da tutti gli altri lavandai. E questo mi fa tornare in mente la fiorentina Alessandra Benucci, moglie di Ludovico Ariosto, che arricchì certo il vocabolario del poeta dell'Orlando furioso, e la fiorentina Nera Colomboli resa celebre da un sonetto dell'Alfieri che la chiamava «monna vocaboliera», e la Quirina Magiotti, senese, che forse fece sentire al Foscolo la fresca grazia della favella natia, e quella povera Geppina che fu del Tommaseo non solo amante e serva ma anche maestra di vivo idioma fiorentino.
   Molto deve la letteratura italiana alle donne e non tanto per quello che esse hanno scritto, che pure è da tenere in bel conto, ma per quello che hanno ispirato e insegnato ai maschi di genio.


◄ Indice 1955
◄ Corriere della Sera
◄ Cronologia